REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA: PADRI E FIGLI



GIUSEPPE SOLARO, ULTIMO FEDERALE DI TORINO. 27 MAGGIO 95. Cinquantenario della tragica morte.
 
 
IL RICORDO DI FRANCA
Franca Solaro
 
     I miei ricordi personali riguardanti mio Padre sono quelli di una bambina di sette anni riflessiva, che gli eventi drammatici di cui era già conscia spettatrice hanno reso precocemente matura.  Noi vivevamo come recluse a Palazzo Campana, allora Casa Littoria, e ricordo benissimo il buon Marino che ci scortava sempre all'andata ed al ritorno da scuola.  Mio Padre, in quell'ultimo terribile anno e mezzo di guerra, non avrà certamente avuto troppo tempo da dedicare a me e a te Gabriella, eppure so che ci ha immensamente amate, come si possono amare due piccole bambine indifese. Di Lui mi restano solo poche, vecchie, sfocate fotografie.  Vedo un giovane snello, bruno, in uniforme militare, con un bel viso scarno, intenso, dallo sguardo profondo e precocemente serio. Mi resta soprattutto la lezione della Sua vita: così breve, così tragica, così intensa: aveva solo trent’anni quando lo hanno ucciso. A diciott'anni geometra, a 19 impiegato, a 20 sott'ufficiale di artiglieria nel servizio di leva, a 22 sposato, a 23 volontario in Spagna quale ufficiale della Milizia, due figlie, poi la guerra sul fronte occidentale al comando di un gruppo di artiglieria, l'8 Settembre, la Repubblica Sociale, a 28 anni, Federale di Torino, a 30 la fine (atroce!) e contemporaneamente la laurea in Economia e Commercio a pieni voti all'Università di Torino da studente lavoratore, l'attività politica nel gruppo torinese di Guido Pallotta, quella universitaria quale fiduciario del G.U.F. torinese, gli studi di economia politica e corporativa sotto la guida del Prof. Pacces, la fondazione e la direzione del «Centro Studi Economici e Sociali» presso l'Università di Torino, insieme a Golzio e Canonica, le pubblicazioni. in campo economico, l'attività giornalistica continuata sino alla fine, con la personale direzione della «Riscossa» -settimanale della Federazione torinese - la collaborazione al quotidiano «La Stampa» con numerosi articoli di fondo.  E sono lieta e fiera di poter dire che delle Sue pubblicazioni, in particolare di quelle concernenti la sistemazione geo-politica della futura Europa, del futuro «Nuovo Ordine Europeo» (siamo nel 1940/41) si sta interessando un importante storico tedesco, il Prof. Hans Werner Neulen di Colonia, autore con Nicola Cospito del volume «Salò-Berlino. L'alleanza difficile» edito in Italia da Mursia.  Se penso alla Sua vita, ai suoi trent’anni, come appare assolutamente inadeguata la mia: studio, lavoro, casa e famiglia. Ho vissuto, abbiamo vissuto al 75%, come diceva il grande Montale.  E subito mi domando il perchè di quella orribile fine: la doppia impiccagione, la macabra passeggiata del cadavere sul camion per le vie di Torino esposto al pubblico ludibrio, il corpo gettato nel Po dall'alto del Ponte Isabella come un sacco di rifiuti, il macabro tiro al bersaglio nelle acque del fiume!  Un martirio ed uno scempio paragonabili solo a Loreto! Perchè quella barbarie?  Perchè quella ferocia? Perchè in quel modo?  Perchè era un isolato, un corporativista, un sostenitore della socializzazione delle imprese e dei 17 punti di Verona, inviso sia ai comunisti che affrontava sul loro terreno in fabbrica, sia all'establishment torinese, che minacciava nei suoi intoccabili interessi socio-economici; un «pericoloso idealista» per gli uni, un «povero illuso» per gli altri -i benpensanti trasformisti-, la vittima sacrificale ideale per lo sfogo finale di tutti gli odi e di tutte le viltà.  E se fosse sopravvissuto, che cosa avrebbe fatto dopo? Avrebbe continuato la lotta politica, Lui così sensibile alle tematiche sociali, Lui che aveva tentato sino all'ultimo di mantenere vivi i contatti con il mondo operaio torinese sul tema della socializzazione?  Oppure si sarebbe limitato, troppo disilluso di fronte alla caduta di tutti i suoi ideali, ad una attività manageriale, professionale, forse universitaria?  Infine l'ultima domanda, la più angosciosa: per chi, per che cosa ha dato la vita mio padre, Lui e tutti quelli come Lui, dell'una e dell'altra parte, il meglio, il fiore di un'intera generazione?  Per l'Italia odierna, con le tasche troppo piene ed il cuore troppo vuoto?  Per questa Italia di oggi, in cui gli unici metri di giudizio sono il denaro, l'avere anziché l'essere, il vuoto apparire? I valori in cui mio Padre credeva -l'amor di Patria, l'aspirazione ad una migliore giustizia sociale, la fedeltà alle proprie idee, il disinteresse personale, la capacità di sacrificio per la realizzazione dei propri ideali- appaiono del tutto superati ed anacronistici?  Solo la Vostra presenza qui oggi, il Vostro calore, la Vostra partecipazione mi aiutano a credere, a sperare, che forse mio Padre non è morto invano.  Ringrazio tutti dal profondo del cuore.
Franca Solaro
 
 
GUARDANDO IL RITRATTO DI MIO PADRE
Gabriella Solaro
 
Se questo giorno fosse 
come un qualunque altro giorno,
e il vento non avesse disperso
la fioritura dei glicini,
e di te non mi restasse solo
questo fascio di carte ingiallite, 
io non morirei ogni anno di più
in questo giorno.
 
Nel ritratto riluce,
luminosa magnolia,
il tuo volto d’alabastro;
lo sguardo sereno
è già rivolto lontano
verso il cielo dei martiri.
 
In questo giorno d’aprile,
che non è come un altro giorno,
mi giunge il suono di voci,
di canti e celebrazioni:
son le musiche che suggellano
la Storia dei vincitori.
 
Ma che sarà invece di te
e di tutti i morti di allora,
orbite vuote, spalancate
su un mondo che più non vi piange?
Quali mani, dopo le nostre,
accenderanno di colore
il grigio muro del pianto?
Chi recherà una lucerna
per rischiarare il confine
che separa la pietà dalla gloria?
 
Si spegne lontano
l’eco degli ultimi suoni,
si allungano le ombre –
fantasmi che fuggono
dal mondo dei vivi –
e io resto da sola,
senza risposte,
in questa sera d’aprile
che non è come un’altra sera.
 
Ma all’improvviso risplende
nella cornice d’argento
il tuo viso ed illumina
la mia notte. Forse
è ancora tempo di fede!
 
Raccoglierò queste carte
consumate dal tempo
nell’urna della memoria.
Cercherò nelle tue parole
Il senso segreto 
del tuo passaggio di meteora
nel turbinìo della Storia.
Accenderò fiaccole di luce 
e per strade lunghe millenni
continuerò il mio cammino
verso la riva remota 
dove tu 
              mi aspetti.
 
Gabriella Solaro, 25 aprile 1995 
 
 
L’ULTIMA CROCIATA N. 5. Luglio 1995 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)         
LETTERA AI MIEI FIGLI 
M. A.
 
 
 S. Croce sull'Arno, 18 settembre 1994.
    Figli miei, 50 anni or sono, il 18 settembre 1944, alle ore 13 G. S., il fratello di nonna W., veniva assassinato da partigiani comunisti. Da quel poco che mi fu dato sapere (avevo solo 16 anni e fui informato per primo. a Pisa, dal povero C., morì da eroe ed anche sotto la tortura (ricordo che il B., che era stato suo amico ed era comunque comunista, mi parlò di un "tragico carnevale"), anche sotto la tortura, ripeto, non rinnegò la sua fede. Al padre, che potè vederlo poco prima dell'esecuzione, ma già in preda alle angherie degli aguzzini, disse solo: "sto bene". C'è del mistero nella sua morte, perchè fu l'unico fascista "borghese" di Viareggio ad essere assassinato. Il destino volle che con lui morissero due giovani, quasi coronamento sacrificale della continuità fascista.
    Morì bene e ciò mi fu confermato quando, (beata incoscienza giovanile), nell'Aprile 1945, difendendone la memoria, dissi: "sono sicuro che è caduto con onore e ne sono orgoglioso!"; il partigiano con cui discutevo e che era il fratello del futuro prof. P., non replicò. Da allora (io che come tanti altri avevo avuto le mie crisi) vissi nel ricordo di lui e di mio nonno M. e compresi quanto costui, pur criticone, aveva ragione nel non voler rinnegare nulla.
    Quell'idea che nonno mi insegnò e talora mi obbligò ad amare, è tuttora la più nobile e la più bella delle idee.
    I miei cugini, travolti da una così grande tragedia, non seppero apprezzare la grandezza del sacrificio del loro padre; ma la colpa di tutto va a chi li privò del suo amore e della sua guida.
    La Misericordia di Viareggio, dopo due giorni, raccolse quel povero corpo, privato persino dei pantaloni e, "naturalmente", della stilografica d'oro, e lo portò su un carretto, sotto le bombe, al cimitero dove attualmente riposa. Oggi voi mi date la gioia di venire laggiù con me, a porgere il nostro saluto ad un Uomo, ad un Fascista vero, che visse e morì con onore. Nonna W. dal cielo vi ringrazia con tutto il cuore.
    Babbo
 
 
L'ULTIMA CROCIATA N. 4. Aprile 1995. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

QUEI GIORNI DEL MAGGIO 1945
A.S.
 
 
    Da qualche tempo il sig.  Violante va dicendo di voler scrivere la storia.  Si dovrebbe ringraziarlo se così fosse e si facesse partecipare anche qualche nome dalla parte di chi ha perso.
    Dopo oltre 50 anni il tempo si fa prezioso poichè coloro che possono testimoniare di aver subito sulla propria pelle divengono sempre meno! I vari Bocca e Boldrini si sono fermati al 25 Aprile '45; ora si dia voce a chi ha da dire sui fatti accaduti dopo quella data di "guerra finita".
    Papà era finanziere alla caserma San Giorgio di Genova e dopo l'8 settembre '43 era a Torino alla caserma Podgora caporale G.n.r. addetto all'Annonaria.
    Dopo il 25 aprile '45 mio padre è venuto a casa: riteneva pulita la propria coscienza, colpevole solo di aver tenuto fede al suo ideale.
    Il 16 maggio '45 alle ore 21, si sono presentati tre ragazzini con la fascia tricolore al bracci e la scritta G.I., hanno prelevato mio padre e con modi... molto garbati l'hanno spinto fuori dicendo chè l'avrebbero portato alla polizia del popolo in corso Tassoni per interrogarlo. Da quella sera non ho più saputo nulla.
    Chi mi dice dove è finito?  Perché non mi è stato reso almeno il cadavere?  Quanti, come lui, hanno fatto questa fine?
    Bocca, Boldrini e C. cosa ne dicono?  Ma già per loro tutto si è fermato al 25 aprile '45!
    Da quel 16 maggio '45 invece per me e la mamma è incominciato l'incubo di due persone isolate e ignorate.  Tutto percchè figlia e moglie di un fascista. Tutto mi è stato tolto e negato: ho dovuto limitare gli studi. non ho potuto accedere a concorsi statali, per trovare lavoro sono stata consigliata di non dire come mio padre era sparito.
    Su una cosa sono d'accordo con loro: non bisogna dimenticare.
    Infatti io non voglio, non posso, non devo dimenticare.
    Con questo non cerco né giustízia né vendetta (per me è troppo tardi) vorrei solo che si distinguessero gli "eroi" perchè non tutti i vincitori possono pregiarsi di questo termine.
 
Torino, Anna Sanfilippo
 
 
Gentile signora Sanfilippo, 
 
    le persono che hanno taciuto, che hanno tollerato, che hanno avallato episodi come quello da lei tristemente vissuto, sono le medesime che per mezzo secolo ci hanno tenuto lezioni di democrazia. E che hanno anche ostacolato i tentativi di ristabilire la verità liquidandoli come come "provocazioni fasciste". Molte di quelle persone sono ancora saldamente in sella.
    Dispongono di pulpiti, di potere. Solo una nazione pavida, versipelle, opportunista e cialtrona come la nostra si trattiene da scaraventarli giù da quella sella.
    Ma dovranno fare i conti con la storia e con la storia i conti tornano sempre.
 
P.g.
 
 
IL GIORNALE Quotidiano. 20 Agosto 1997

RICORDO DI SILVIO FANOLLA
Rosilda e Armida Fanolla
 
 
    Il 1 luglio del 1944, in località Pelosa di VARESE Ligure, in una vile imboscata partigiana, veniva ucciso nostro Padre, già caposquadra del M.V.S.N. poi G.N.R. Insieme a Lui vennero uccisi altri 22 Italiani e 10 Tedeschi.
    Era stato richiamato nel marzo del 1944 e nonostante i suoi 39 anni; alle difficoltà che nostra madre cercava di fargli presente Egli rispose: «l'Italia e l'Ideale si amano, si difendono non solo in tempo di pace o in quello della vittoria, ma soprattutto nei momenti di difficoltà». ,Dopo l'8 di settembre 1943 si presentò subito alla Caserma «Cemaia» e continuò il suo servizio. Ai primi di luglio del 1944 ci comunicò che sarebbe dovuto partire per una missione di guerra molto importante, ma non tornò più: lasciava la moglie e due figlie di 12 e 15 anni. Tutta la sua vita è stata illuminata dal sentimento del dovere e dall'amore per la Patria. A diciott'anni scappò di casa per partecipare alla «Marcia su Roma», poi si arruolò nella M.V.S.N. Tornato alla vita civile, Egli che adorava l'Italia ed il suo Duce. visse onestamente, cercando sempre di dare il meglio di sé, con infinita generosità, alla famiglia e agli amici. E' stato fascista nel senso più nobile e puro della parola, perchè aveva ravvisato nel Fascismo un'idea e un mezzo per fare grande la Patria. Questi sono i sentimenti che ha trasmesso alle sue figlie, sentimenti dei quali gli saremo grate fino all'ultimo dei nostri giorni. Siamo fiere ed orgogliose di avere avuto un così grande Papà! Oggi, a cinquanta anni dalla sua morte, rinnoviamo a Lui, che sicuramente è lassù nel Cielo insieme a tanti altri Eroi, il nostro giuramento: «Non dimenticheremo!».
 
 
L'ULTIMA CROCIATA N. 6. Settembre 1994. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

NEL NOME DEL PADRE. I PRIMI COMPAGNI CHE DIALOGARONO CON I CAMERATI AVEVANO UNA STORIA IN COMUNE
Marcello Bello
 
 
    Furono pochi gli spiriti liberi che dialogavano con i camerati usciti dagli anni di piombo, furono rare le attenzioni non criminalizzanti che questi fascisti suscitarono tra intellettuali e giornalisti di sinistra.  Camerata?  Pussa via.
    Si contano sulle dita di una mano gli sdoganatori: Massimo Cacciari, Giampiero Mughini, Pierluigi Battista, Giacomo Marramao, Oreste del Buono e pochi altri.  Ma i cinque citati, provenienti da esperienze culturali e professionali, ideologiche e militanti tra loro diverse ma tutte orientate a sinistra, hanno un punto in comune su cui non si è mai prestato attenzione: avevano un fascista in famiglia, in molti casi (come Mughini, Battista, Marramao) un padre fascista.  Fascisti di specchiata probità vorrei aggiungere gente e che ha pagato di persona, galantuomini o comunque brave persone.  Lo stesso vale per Cacciari, dalla cui famiglia «reazionaria» venne fuori Piero Buscaroli; o per Del Buono, che tra i fascisti di famiglia ebbe anche un eroe, Teseo Tesei.  E altri casi analoghi sicuramente mi sfuggono.  Vedete come contano nei giudizi e nei comportamenti le radici famigliari.  C'è un'impronta araldica che pesa su di noi, un sigillo invisibile ma tenace che ci accompagna anche dopo le abiure.  Più che l'ideologia poté la biografia, più che i legami con lo spirito dell'epoca poterono i legami di famiglia.,
    Non chiamate traditore chi ha rotto con la casa paterna.  Certo era più difficile per loro rivendicare un padre fascista in pieno antifascismo: più agevole fu per i Massimo D'Alema e i Paolo Mieli, i Giuliano Ferrara, i Massimo Boffa e i Duccio Trombadori, figli di dirigenti comunisti.  Ma anche questi poi fecero la loro piccola riforma protestante a uso personale, non contro ma oltre i loro padri, al passo con i tempi.  Più dura fu per i figli dei fascisti.  Figli di un dio minore; anzi, minorato.
    A diciott'anni, per compiere il rito di passaggio all'età adulta, la loro scelta a sinistra fu dettata anche dal desiderio di liberarsi dall'impronta del padre, di emanciparsi da lui, negando le sue idee.  Ma poi, quando le tensioni ideologiche passano e arriva la maturità, e nel frattempo magari avviene la perdita del padre, il giudizio assume nuove sensibilità e ritrova antiche ascendenze.  Allora si riscopre la figura del padre, si rivalutano alcune sue scelte, o perlomeno le si osserva con maggiore indulgenza e rispetto; e si riscoprono affinità con lui prima negate.  Perché siamo destinati prima o poi a ripetere gli errori, i vizi e magari anche le virtù dei nostri padri, siamo destinati a rivivere alcune esperienze paterne da cui eravamo fuggiti con rabbia, a ripetere le stesse cose che avevamo a lui contestato.  Torniamo alla casa paterna, magari di notte o da sonnambuli.  Ma torniamo.
    E poi con gli anni si scopre una terribile dissonanza tra il «racconto collettivo» che vede nel mondo paterno un feroce universo di mostri sanguinari e l'esperienza vera, diretta, vissuta da noi con il nostro padre: ma come, al cinema, nei discorsi, sul libri, si narra di tremendi aguzzini e poi pensiamo a nostro padre e ai suoi camerati, rivediamo le loro speranze e le loro carezze, e la fonte di alcune loro asprezze, e ci rendiamo conto che i conti non tornano, la storia non combacia con la demonologia.  Non erano mostri quei babbi camerati.
    E allora si riaprono i conti non solo col proprio passato ma anche col passato degli altri e con la storia di tutti; e rinasce un sentimento di pietas in alcuni casi, di rispetto e di attenzione in certi altri, verso coloro che sono e furono dalla parte in cui c'era nostro padre.  Perché noi nella vita compiamo tanti parricidi ed eleggiamo tanti nuovi padri, lungo il cammino; ma non ci libereremo mai dal fiato e dall'impronta di colui che ci fu padre davvero; il primo, quello che ci fece nascere e ci accompagnò con nostra madre e i nostri fratelli negli anni decisivi dell'infanzia.  Viaggeremo tanto ma non ci libereremo mai dal padre, anche il peggiore del mondo.  Perché le distanze non allontanano, non scavano abissi, quando la persona da cui fuggiamo è dentro di noi.  Fuggiremo o semplicemente ci costituiremo una vita lontana per tanti versi dalla sua.  Alla fine riposeremo a fianco a lui, padri anche noi, esausti della vita che ci annodò in questa spirale paterna e filiale di memorie e amnesie, entrambi indispensabili per vivere.
 
 
LO STATO DELLE IDEE-IL BORGHESE N. 44. 12 Novembre 1998 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI) 

DOMUS